sabato 28 dicembre 2019

ARTHUR SCHOPENHAUER


La Vita

Schopenhauer nasce a Danzica nel 1788, da una  famiglia di commercianti e banchieri. Suo padre, muore suicida nel 1805, lasciandogli una sostanziosa eredità mentre sua madre, Johanna Henriette Trosiener coltiva la letteratura scrive romanzi e tiene a Weimar un importante salotto letterario, frequentato da poeti come Göethe e Wieland, che ebbero un certo influsso sul giovane Arthur. 

Nel 1809 s’iscrive alla facoltà di medicina dell’università di Gottinga, per passare presto, a quella di filosofia. La sua formazione filosofica fu influenzata dallo studio  di Platone e di Kant, che rimarranno, infatti,  al centro della sua riflessione.

A Berlino seguì le lezioni di Fichte e, si laureò a Jena con un saggio Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, nel 1813. Schopenhauer fu di certo, un filosofo dal carattere difficile e palesemente critico nei confronti dei più diversi indirizzi teorici: lo storicismo hegeliano e l’idealismo fichtiano, la scuola di Schelling e quella di Herbart. 

Compie diversi viaggi in Italia, soggiornando a Venezia,  dove avrebbe dovuto sposare una una gentildonna veneziana, poi a Bologna, a Firenze, a Roma  e a Napoli. Torna in Germania, a causa di una crisi finanziaria che  colpisce la sua famiglia, e  pensa di dedicarsi alla carriera  accademica. Nel  settembre del 1860 a  Francoforte, in seguito ad una polmonite, Schopenhauer muore.



Il Pensiero
Schopenhauer considera Kant il pensatore decisivo dell’età moderna. L’elemento che Schopenhauer ama nel kantismo, fino a farne il punto di partenza della propria dottrina, è la distinzione tra fenomeno e noumenoKant considerava il fenomeno l’oggetto dell’esperienza sensibile e il noumeno/la cosa in sé, inconoscibile dall’intelletto umano. Schopenhauer estremizza  questa distinzione facendone un vero e proprio dualismo gnoseologico e ontologico.
Da una parte vi sono i fenomeni, che sono considerati come semplici apparenze, come volti superficiali delle cose, dall’altra c’è il noumeno considerato come quella dimensione sostanziale delle cose medesime, che sfugge alla conoscenza intellettuale.
Partendo da questa visione dualistica, il mondo e l’intera realtà è “rappresentazione e volontà”: i fenomeni sono l’apparenza, l’illusione, cioè il mondo della rappresentazione, dominato dal principio di causalità. La vera realtà noumenica è invece, celata  da un “velo di Maya”, è il mondo come volontà.
La volontà  per Schopenhauer è una forza irrazionale non rappresentabile ed irriducibile alla considerazione logico-scientifica, ed agisce nella natura e nell’uomo, determinando un' universale condizione di affanno e schiavitù nella lotta per l’esistenza. L’uomo può liberarsi da questa schiavitù soltanto annullando la propria volontà di vivere. Schopenhauer parla di “volonta” a cui l’uomo può aspirare, ovvero rinuncia alla propria individualità ed esigenze .
Sono tre le strade che l’uomo può scegliere di perseguire come vie di liberazione:
  • la contemplazione artistica
  • la moralità, specialmente la compassione
  • l’ascesi

Schopenhauer usa il termine volontà non nel senso di intenzione cosciente, volere razionale, ma al contrario, nel senso di impulso, energia, forza irrazionale, che non è diretto al conseguimento di qualche scopo razionalmente determinato; è inconscia, sottratta allo spazio ed al tempo, eterna ed infinita, senza causa e priva di scopo.
La volontà non obbedisce né alla  ragione, né alla morale, perciò la volontà di vivere è una forza cieca, un desiderio, che si mostra in forme  diverse fino al culmine dell’uomo, quando cioè giunge alla piena consapevolezza di se stessa.
La visione di Schopenhauer è fondamentalmente pessimista: se la volontà è per tutti gli uomini un continuo desiderio, un’ insaziabile ricerca, da questa incessante ricerca non può che derivare uno stato di continuo bisogno, una condizione di vuoto, che si manifesta come sofferenza e dolore.
Anche se l’uomo arriva ad appagare un suo desiderio, si tratterà sempre di un piacere momentaneo, perché altri e sempre nuovi desideri si faranno sentire.  L’appagamento, dice Schopenhauer, è come l’elemosina che “gettata al mendicante prolunga oggi la sua vita per continuare domani il suo tormento”.
L’uomo non ha vie d’uscita, “la sua vita oscilla come un pendolo, di qua e di là tra il dolore e la noia” perché la vita è “ una faticosa “battaglia per l’esistenza con la sola certezza della sconfitta finale.  Il tempo è un fluire inesorabilmente e  nel trascorrere consuma le cose. La vita è ” una morte rinviata e dove la morte deve vincere “.  Nonostante la sua visione pessimistica della realtà, Schopenhauer esclude il suicidio, perché esso non è una via di liberazione. perché l’uomo che si uccide nega la vita e non la volontà.

IL MONDO COME VOLONTA’ E RAPPRESENTAZIONE

Nel 1818 porta a termine la sua opera principale, che si intitolerà, Il mondo come volontà e rappresentazione (Die Welt als Wille und Vörstellung), che influenzerà il pensiero di Nietzsche e di Freud, ed è ritenuta una delle opere più importanti del romanticismo antidealistico. Nella prima parte della sua opera Schopenhauer esamina i caratteri del mondo in quanto rappresentazione e in una larga sezione è dedicata alla ricerca dei modi in cui l’uomo può liberarsi dalla volontà che freme dentro di lui.
Schopenhauer, riprendendo un principio della filosofia indiana, chiama il “Velo di Maja”, la realtà visibile. Il mondo non esiste se non come rappresentazione: non è il mondo in se ad avere un senso ed un significato, ma è l’uomo che cerca di interpretare  e dare un significato al mondo.
KARL MARX


Vita

Karl Marx è stato un famoso filosofouomo politicosociologo ma anche un economista, uno storico, un politologo e un giornalista di nazionalità tedesca. Al centro del suo pensiero c’è la critica al materialismo, concetto cardine dell’economia, della società e della cultura capitalistica che caratterizza il suo tempo. La sua opposizione al capitalismo e a tutto ciò che ne deriva è una delle chiavi fondamentali per la nascita delle ideologie socialiste e comuniste durante la seconda metà del XIX secolo. Marx è colui che ha dato vita alla corrente socioeconomica politica che prende il suo nome, il marxismo.
Per tutto questo Marx si è guadagnato il titolo di uno dei pensatori più influenti di sempre e sicuramente della storia dell’Ottocento in termini di filosofia, politica ed economia. 



Pensiero di Marx

Karl Marx ha operato in ambito filosofico, economico e politico producendo una serie di opere rilevanti per i secoli a venire e sviluppando un pensiero ben preciso che caratterizza la corrente del marxismo. Tra le varie peculiarità di questo pensiero è sicuramente da ricordare il cosiddetto materialismo storico: si tratta della concezione che l’uomo, pur essendo un essere pensante e spirituale, venga inevitabilmente condizionato dalla materialità della sua esistenza (mangiare, lavorare…). 
Da questo Marx deduce che sono la produzione e la riproduzione della vita materiale che permettono all’uomo di progredire sia a livello sociale che a livello intellettuale. Tutte le idee di Marx e i fondamenti del suo pensiero si basano sulla profonda convinzione di voler cambiare il mondo, non solo interpretarlo. 
Marx merita a pieno il titolo di padre del materialismo storico in quanto conia la definizione di “sovrastrutture” per tutte le attività umane che dipendono dalla “struttura” principale, l’economia, la quale a sua volta influenza politica, cultura e tutto ciò che è espressione della società umana.
Per quanto riguarda il pensiero sociologico di Marx, tutto si sostanzia nella lotta per il dominio economico sociale tra la classe dei servi e quella dei padroni, proletari e borghesi. 
borghesi, secondo Marx, sono coloro che detengono i mezzi di produzione e che ora sono la classe dominante. Il proletariato, secondo la natura delle cose, nel pensiero di Marx dovrebbe imporsi sulla borghesia instaurando una dittatura con lo scopo di generare una società senza classi. Questo è il comunismo di Marx.
Per quanto riguarda l’aspetto economico, Karl Marx analizza il capitalismo anche da un punto di vista scientifico (“socialismo scientifico”); dopo l’analisi di pluslavoro generato dal plusvalore, cioè il valore aggiunto che il lavoro del proletario produce, Karl Marx afferma che è colpa dei borghesi se sottraggono il plusvalore dalle mani di chi effettivamente lo produce volendo anche aumentare questo valore a discapito delle condizioni dei lavoratori.



giovedì 21 novembre 2019

Ludwig Feuerbach



Il filosofo Ludwig Andreas Feuerbach nasce il 28 luglio del 1804 a Landshut, nella Baviera tedesca; è il quarto figlio del famoso giurista e professore di diritto Paul Johann Ritter Von Feuerbach. La sua è una famiglia molto numerosa: Ludwig ha ben quattro fratelli e tre sorelle. Si iscrive all'Università di Heidelberg con l'intenzione di intraprendere la carriera ecclesiastica, ma il primo approccio con la filosofia hegeliana, favorito dal suo insegnante Carl Daub, lo influenza al punto da indurlo a recarsi a Berlino per intraprendere degli studi in ambito filosofico. A Berlino, infatti, teneva le sue lezioni Hegel in persona. La scelta di Ludwig non viene condivisa dal padre, a differenza della madre, Eva Wilhelmine Troster.

Dopo un semestre a Berlino, completa i suoi studi a Erlangen, dove è costretto a trasferirsi per motivi economici. Ad Erlangen si dedica allo studio della botanica, della fisiologia e delle scienze naturali. Invia la sua tesi di laurea anche ad Hegel, sperando nell'approvazione del suo maestro. Nella tesi sostiene il suo idealismo panteistico, e la sua visione di un mondo in cui la filosofia sostituisca la religione.

Inizia la sua carriera di professore universitario proprio a Erlangen, con corsi su Cartesio e Spinoza. La pubblicazione, però, nel 1830 del suo testo anonimo "Pensieri sulla morte e l'immortalità" gli provoca non pochi problemi. Il testo infatti sostiene che l'individuo sia pura apparenza, e che dunque la sua anima non possa ritenersi immortale. Dopo il sopraggiungere, cioè, della morte l'individuo viene ricompreso in una sorta di coscienza universale. Feuerbach giunge persino a definire l'idea di immortalità come una forma di puro egoismo individualeIl testo viene immediatamente considerato eversivo, quasi una forma di ribellione al sistema politico vigente. Una volta individuato come autore del testo incriminato, il futuro filosofo viene costretto ad interrompere il suo corso universitario anche perché si rifiuta di negare la paternità dello scritto.


Dio come proiezione umana

Applicando la medesima metodologia materialistica alla religione, ne deriva che non è Dio (l’astratto) a creare l’uomo (il concreto), ma l’uomo a creare Dio. Dio per Feuerbach si configura come la proiezione illusoria di quelle che l’uomo ritiene le buone qualità della sua specie: ragione, volontà, cuore. La religione è alienazione: l’uomo proietta fuori di sé una potenza superiore, Dio, alla quale si sottomette, anche nei modi più umilianti e crudeli (si pensi ai sacrifici dei vari rituali).

Ateismo come dovere morale

Ecco che l’ateismo diventa un dovere morale: significa recuperare in sé i predicati positivi che ha proiettato fuori di sé, in Dio, che altro non è che l’essenza stessa dell’uomo. In questo senso, la religione favorisce la presa di coscienza da parte dell’uomo di se stesso: conoscere Dio significa conoscere l’uomo, la teologia diventa antropologia. La religione è definita infanzia dell’umanità, perché è il primo passo attraverso cui l’uomo conosce se stesso.

La nascita dell’idea di Dio nell’uomo

In merito alla nascita dell’idea di Dio nell’uomo, Feuerbach propone varie ipotesi:
  • Dio come personificazione immaginaria delle qualità della specie: mentre l’uomo avverte se stesso come debole e fragile, percepisce l’uomo in quanto specie onnipotente.
  • Dio come divinità in cui tutti i desideri sono realizzati: il volere dell’uomo è infinito, il potere finito, in Dio volere e potere coincidono. Tant’è che – nota Feuerbach – il dio dei Greci era limitato, perché limitati erano i desideri dei Greci, quello dei cristiani è illimitato, perché illimitato è il desiderio dei cristiani.
  • Dio come luce, aria, acqua, terra: elementi senza i quali l’uomo non potrebbe vivere.
L’idealismo di Hegel in quest’ottica diventa una teologia mascherata: lo Spirito altro non è che astrazione alienante.

Feuerbach e l’umanismo naturalistico

Da questa critica alla religione e all’hegelismo, la volontà di Feuerbach è di costruire una nuova filosofia dell’avvenire, che prende la forma di un umanismo naturalisticoumanismo, perché fa dell’uomo l’oggetto e lo scopo del discorsonaturalistico, perché fa della natura la realtà primaria da cui tutto proviene e a cui tutto torna – natura che in Hegel aveva la sola funzione di antitesi.
Altro punto chiave di questo umanismo è il rifiuto di considerare l’individuo come astratta spiritualità o razionalità: l’uomo è un essere di carne e di sangue, condizionato dal corpo e dalla sensibilità e l’amore è ciò che permette all’uomo di aprirsi verso l’altro, una passione fondamentale che fa tutt’uno con la vita.

Feuerbach: l’uomo è ciò che mangia

Il materialismo di Feuerbach può essere sintetizzato dall’espressione l’uomo è ciò che mangia: Feuerbach fa leva sull’unità psicofisica dell’individuo e sul fatto che, se si vogliono migliorare le condizioni spirituali di un popolo, bisogna innanzitutto migliorarne le condizioni materiali, a cominciare dall’alimentazione:
Feuerbach pone indirettamente l’accento anche sul problema del lavoro, fonte prioritaria di guadagno e, quindi, di sostentamento. Sarà poi Karl Marx a compiere un ulteriore passo in avanti in questa direzione, individuando lo stretto rapporto di reciproca implicazione che lega i bisogni naturali degli esseri umani con il procedere della storia: il punto di partenza, questo, del materialismo marxista.

mercoledì 16 ottobre 2019

 La filosofia di Hegel


Il pensiero di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 - 1831) si caratterizza da subito come uno dei sistemi più complessi, ricchi ed articolati in tutta la filosofia moderna e contemporanea; i concetti fondamentali sviluppati nelle sue opere maggiori (tra cui la Fenomenologia dello Spirito, l’Enciclopedia delle scienze filosofiche, i Lineamenti di filosofia del diritto e l’Estetica) compongono infatti un castello teorico che - in opposizione alle indicazioni kantiane - si presenta come la summa organica di una visione del mondo che avrà un larghissimo influsso sulla storia della cultura dei due secoli successivi. Al centro del sistema hegeliano sta l’idea di una razionalità che si dispiega progressivamente nel reale; questa “Idea” si esprime e agisce all’interno della “Natura”, traducendosi poi in “Spirito”, od autocoscienza, nell’essere umano e in tutta la gamma delle sue attività sociali, politiche, culturali ed artistiche. 

Il mondo di Hegel (influenzato dalle suggestioni romantiche sin dai primi scritti, in cui già si manifesta l’allontanamento netto dalle opposizioni dualistiche) è allora un’unità organica e non un’addizione statica di parti o di cose, e davvero reale è solo l’intero, mentre l’assoluto  è ciò che coincide con l’infinito.


L’idea hegeliana deve però negare se stessa in quanto chiusa ed isolata per potersi fare “oggetto” nella Natura; a questo dispiegamento necessario corrisponde poi la realizzazione nello Spirito, cioè l’idea concretizzata (dove “concreto” nel lessico hegeliano è sempre il risultato di un processo compiuto) che conosce e comprende se medesimo e che è, al tempo stesso, Idea e Natura, Soggetto ed Oggetto. 
Questa dialettica spiega per Hegel la razionalità del reale e diventa lo schema di ogni processo della realtà, secondo la sequenza di tesi (come momento astratto o momento intellettuale), antitesi (come fase dialettica o momento razionale negativo) e sintesi (il momento speculativo o razionale positivo, che unifica ed eleva le opposizioni precedenti). Il dinamismo logico del processo è atemporale e costitutivo della ragione umana, che riproduce in sé le contrapposizioni del reale così come esso si presenta ai nostri occhi. Il confronto tra Kant ed Hegel è allora netto e decisivo: il secondo si spinge esattamente oltre i limiti imposti dal criticismo kantiano, postulando la ragione come identità di pensiero e realtà superiore all’intelletto e la dialettica come logica intima di tutta la realtà. Si apre così una nuova fase per il pensiero moderno.

Il processo dialettico si compone di tre momenti:

  • intellettuale o astratto (tesi) ---> la realtà appare costituita di oggetti separati e statisticamente contrapposti gli uni agli altri;
  • dialettico o della negazione (antitesi) ---> in esso ogni determinazione si scopre limitata, cogliendo il suo nesso inscindibile e necessario con la determinazione opposta;
  • speculativo (sintesi) ---> rappresenta la negazione della negazione, che è affermazione dell'unità delle determinazioni opposte.


La fenomenologia dello spirito è la storia romanzata della coscienza che attraverso contrasti e dolore, esce dalla sua individualita, raggiunge l'universalità e si riconosce come ragione che è realtà e realtà che è ragione. La coscienza infelice è la coscienza che non sa di essere tutta la realtà, e perciò si ritrova scusa in conflitti da cui è internamente dilaniata. 

La prima parte della fenomenologia si divide in tre momenti: coscienza, autocoscienza e ragione. Queste sono le tappe della vita dello spirito che essa deve percorrere per raggiungere il sapere Assoluto:
  • la fase della coscienza ---> dove essa conquista la consapevolezza di sé e della propria funzione costitutiva del senso delle cose; Il punto di partenza è la certezza sensibile. Questa a prima vista sembra la certezza più sicura, in realtà è la più povera. Infatti essa è solo “apparentemente certa”, in realtà da solo informazione su una singola cosa, “questa cosa”. Il “questo” non dipende dalla cosa, ma dall’io che la considera.
  • la fase dell'autocoscienza ---> essa ottiene la conferma della propria identità e libertà; il centro dell'attenzione sposta dall'oggetto al soggetto. L'uomo è autocoscienza solo se viene riconosciuto da un'altra autocoscienza. Tale riconoscimento avviene tramite il conflitto fra le due autocoscienze, che si conclude con il subordinarsi di un' autocoscienza sul''altra nel rapporto servo-signore. Il signore è colui che per la propria indipendenza ha rischiato la vita mentre il servo è colui che ha preferito la perdita della propria indipendenza per avere salva la vita. Tale dinamica provoca un inversione dei ruoli: il padrone finisce nel godere passivamente del lavoro del servo, quindi ne diventa dipendente. Il servo, nella misura in cui padroneggia e trasforma le cose, finisce per rendersi indipendente. 
  • la fase della ragione ---> l'autocoscienza si eleva a ragione e assume in sé ogni realtà.  





giovedì 3 ottobre 2019

IDEALISMO E ROMANTICISMO 


Una corrente filosofica tra le più importanti è l'idealismo tedesco che si sviluppa a cavallo tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo. Vede come suoi maggiori fondatori e interpreti FichteSchelling ed Hegel.

Sia il romanticismo che l'idealismo rappresentano il superamento della ragione illuministica e l'affermazione di una nuova visione del mondo che esalta il sentimento, l'arte e la tradizione.

L'aspirazione all'infinito è il primo e più importante tratto di questo movimento. Tale aspirazione nasce da un senso di inquietudine nei confronti di quanto possa costituire un "limite".


L' idealismo etico di Fichte




Fichte, entusiasta sostenitore del pensiero di Kant, presto si rende conto dei suoi numerosi dualismi: a priori e a posteriori, forma e contenuto, soggetto e oggetto. Rifiuta il Dogmatismo, che considera il pensiero come un prodotto della Natura, e fonda l’Idealismo, che parte dal pensiero per spiegare la realtà in base ad un principio unico ed assoluto da cui tutto deriva.

La realtà è spirituale, è pensiero, è la sorgente di tutta la realtà, è attività perché crea se stessa e le cose. Il pensiero abbraccia contenuto e forma, pensiero e realtà, soggetto e oggetto. Il noumeno è prodotto dall’Io, ossia è un fenomeno conoscibile. L’oggetto, il contenuto, l’a posteriori sono posti dal soggetto, sono un modo di svolgimento del pensiero. L’oggetto è il soggetto visto sotto un particolare aspetto.


I tre principi della Dottrina della scienza


1° principio: L’Io pone se stesso (TESI).

L’Io penso, costruttore dell’esperienza, non può essere individuale e finito, ma deve essere universale e infinito; non legislatore, ma creatore della realtà. Tutta la realtà si origina da un unico principio: l’Io Puro, inesauribile attività di pensiero, unico principio materiale e formale della conoscenza, che crea sia il soggetto che l’oggetto, infinita attività creatrice, con la quale pensa e crea se stesso e le cose. Il pensiero non può avere altri limiti al di fuori di quelli che egli stesso pone. Niente è prima dell’Io: l’Io non può affermare nulla se non afferma la propria esistenza. L’Io non è posto da nessuno, ma si pone da sé, crea se stesso, si autocrea, “si fa”. L’Io puro è infinito perché non è limitato da nulla; è attività creatrice e prodotto della sua stessa attività, che avviene in modo infinito e libero (libertà).

2° principio: L’Io pone il non-io (ANTITESI)

Non-Io costituisce la natura intesa in senso generale come il "regno dei limiti". Esso è posto dall'Io puro, il quale delimitandosi, produce continuamente l'altro da sé come oggetto e ostacolo indispensabile alla sua attività. Anche il nostro corpo e le nostre sensazioni sono non-Io, in quanto materiali e privi di ragione.


3° principio: L’Io oppone nell’Io, all’Io divisibile, un non-io divisibile (SINTESI).

L’Io di cui si parla è la singola individualità di ogni uomo (l’io empirico)L’Io si scopre limitato dal non-io, io empirico, finito, individuo condizionato dalla natura interna o esterna: per ricostituire l’unità dell’Io, deve superare il non-io. Il non-io è il motore che mette in azione l’Io: senza di esso l’Io non potrebbe agire. Ponendo il non-io, l’Io si scopre limitato e finito. Il fine ultimo dell’io finito sta nel raggiungimento dell’Io puro, rimuovendo gli ostacoli costituiti dal non-io. La coscienza del limite fa nascere nell’Io l’esigenza di superarlo: l’Io tende a ricomprendere in sé il non-io per ricostituirsi come Io assoluto. L’io empirico deve aspirare all’Io infinito: l’infinito per l’uomo è un dover essere e una missione. L’io empirico deve essere un io libero, che vince gli ostacoli e supera ogni limite.



L' idealismo estetico di Schelling




Schelling parte dalla filosofia dell’infinito di Fichte: sostiene che l’Io non può essere puro se, per attuarsi, deve affermare un non-Io che lo limita. Accusa Fichte di aver svuotato la natura di ogni realtà, definendola come non-io, produzione inconscia dell’Io a cui è di ostacolo. Il Principio non è solo l’Io o il non-io, ma è l’Assoluto, che si realizza nell’io e nel non-io, nella coscienza e nella natura, nel pensiero e nella realtà. 


IL PENSIERO

Friedrich Schelling aderisce alla filosofia di Fichte perché ha trovato il fondamento incondizionato della realtà, principio da cui dipende ogni conoscenza: l’io puro, assoluto, libero. Secondo Schelling, Fichte ha colmato i vuoti della filosofia kantiana.
Inizialmente egli ha interessi naturalistici, egli vuole recuperare la natura perché essa deve essere una soggettività. Rifiuta la nullificazione della natura di Fichte, ponendo l’io infinito rende nulla la natura.


Critica:

  • l’assoluta soggettività della sostanza (Fichte)
  • l’assoluta oggettività della sostanza (Spinoza).


La natura è un’unità indifferenziata di natura e spirito, non è limitata dall'attività dell’io, ma assume una validità oggettiva. Natura e spirito sono due facce dello stesso principio assoluto: l’assoluto si pone inconsciamente come natura e poi consciamente come spirito. La natura è un organismo dotato di finalità, aperto ad ogni sviluppo. Essa ha un carattere teleologico e non meccanico, perché le singole arti della natura si articolano nel tutto. La natura ha un’anima e una forza vivificatrice. Attraverso una serie di gradi si attiva in forma sempre più perfette. Da forme inorganiche e organiche: spirito pietrificato in divenire.
Il finalismo è nella natura stessa (finalità oggettiva e immanentista). Schelling rifiuta il meccanicismo e il finalismo teleologico. Il finalismo di Schelling è un carattere oggettivo della natura, interno ad essa. Considera la natura come un tutto vivente, è attività creatrice spontanea. 

La natura per attuare se stessa si dialettizza in 2 principi di base: astrazione e repulsione. Nella natura agiscono due tendenze opposte. Ogni fenomeno è l’effetto di una forza che è limitata, condizionata dall’edizione di una forza opposta: la natura agisce attraverso la lotta di forze opposte. Quando esse sono in equilibrio si ha la produzione di una forma naturale. La ricomposizione dell’equilibrio da vita a forme naturali sempre migliori.


Lo spirito e la natura


Secondo Schelling,


  • Natura: spirito visibile
  • Spirito: natura invisibile

Tra la natura e lo spirito è esclusa ogni distinzione sostanziale (non più dualismo tre Io e non Io). Esiste differenza di grado perché la natura è spirito inconscio mentre lo spirito è superiore perché è vita spirituale conscia. Lo spirito riconoscendosi come rappresentazione inconscia della natura tende a ricostruire l’unità dell’assoluto mediante l’attività teoretica, pratica ed estetica. Questa identità non è mai pienamente raggiungibile.