lunedì 30 marzo 2020

HENRI BERGSON


La vita


Henri Bergson nasce a Parigi nel 1859 e decide di laurearsi in filosofia e matematica. Dal 1881 al 1900 assume l’incarico di professore ad un liceo di Angers, prima, e a Clermont-Ferrand poi. Dopo l’esperienza a scuola, Bergsoncomincia ad insegnare filosofia moderna al College de France di Parigi, ma non tenne mai nessun corso Sorbona per via delle sue idee, ben poco in linea con l’indirizzo filosofico dominante.

La personalità e la notorietà del filosofo riescono ad imporsi anche fuori dagli ambienti accademici e le sue lezioni e conferenze venivano spesso seguite da un pubblico vasto e variegato. La prosa accattivante e gli scritti, ricchi di metafore e descrizioni, gli fanno guadagnare, nel 1928, il Nobel per la letteratura

Muore nel 1941 a Parigi, mentre la città è occupata dalle truppe naziste. Le sue origini ebraiche gli avevano fatto conoscere e provare la crudeltà delle leggi razziali e delle persecuzioni antisemite; ciononostante, grazie alla sua età molto avanzata e alla fama, i nazisti utilizzarono nei suoi riguardi i “guanti di velluto”, anche se il filosofo rifiutò sino all’ultimo qualunque privilegio concessogli.



Il pensiero

Tra le sue maggiori opere ricordiamo: Materia e memoria (1896), il suo capolavoro L’evoluzione creatrice (1907) e Le due fonti della morale e della religione (1932).

Il filosofo rifiuta l’idea che l’unica forma di conoscenza della realtà sia quella scientifica. 
Bergson viene considerato il più grande rappresentante dello spiritualismo francese

Tale corrente filosofica, infatti:

  • Invita a concentrarsi sulla interiorità degli individui, sullo “spirito”, sulla coscienza, a una realtà diversa e non assimilabile a quella dominata dallo studio dei fatti naturali;
  • Riconosce alla filosofia il peculiare compito di indagare tale realtà, differenziandosi dal metodo e dall’oggetto proprio della scienza.

Per il filosofo, il limite proprio della scienza è considerare il tempo come qualcosa di: 

- "Spazializzato”: ovvero come una successione di momenti distanti l’uno dall’altro, misurabili, tutti uguali;

- "Reversibile": ovvero come qualcosa che si può ripresentare uguale a se stesso (per esempio negli esperimenti scientifici).


Il tempo della scienza  è molto diverso dal tempo della vita, ovvero da ciò che percepiamo attraverso la nostra coscienza. Quest’ultimo è infatti:

- Fatto di momenti che non potranno mai più ripresentarsi (irreversibili);

- Fatto di momenti qualitativamente diversi l'uno dall' altro;

- Continuo: è uno scorrere senza sosta e un sovrapporsi di eventi del passato, presente e futuro.

Il tempo della coscienza per Bergson è, dunque, quello della durata, in cui non è possibile distinguere e isolare nessun momento dall’altro e ogni cosa è allo stesso tempo un prodotto del passato e nuova.

Quello che siamo, pensiamo e facciamo è ciò che ci caratterizza e che dipende dal nostro passato, dal presente e da come immaginiamo il nostro futuro

L’uomo, a differenza dei fenomeni naturali, nella sua vita spirituale è libero di determinarsi da sé. Tale impostazione è evidente anche nella differenza che Bergson rintraccia tra memoria, ricordo e percezione.

- Memoriaè la conservazione integrale del nostro passato ad un livello inconscio;

- Ricordo: è un’immagine con cui il nostro cervello recupera una parte della nostra memoria in vista dell’azione.

- Percezione è quella facoltà che ci permette di selezionare i dati che traiamo dal mondo esterno 







Nell’opera L’evoluzione creatriceil filosofo vuole mostrare la realtà come unica e, soprattutto, come interamente dominata dalla “durata”. 

La vita, sia quella biologica sia quella spirituale, deriva da un’unica forza che lui chiama “energia vitale” che in modo assolutamente libero e imprevedibile, si espande in tutto l’universo e dà origine a tutto ciò che esiste.

Nel processo evolutivo gli uomini e gli animali hanno affinato, rispettivamente, l’intelligenza (da cui deriva la scienza) e l’istinto.

Soltanto attraverso il recupero dell’istinto (e attraverso l’intuito) l’uomo è in grado di comprendere il movimento e il flusso continuo della vita.


giovedì 26 marzo 2020

SOREN KIERKEGAARD



LA VITA

Søren Kierkegaard (1813-1855), nato a Copenaghen, in una famiglia numerosa mostrò fin dall’adolescenza, segnata dalla sofferenza, un carattere riflessivo, introverso e malinconico. Altro elemento indispensabile per comprendere il pensiero di Kierkegaard è la sua elevata religiosità, contrassegnata soprattutto dal dramma della crocifissione e dalla frequentazione di concetti come quelli di dolore e di peccato. 

Per quanto riguarda la sua formazione, Kierkegaard ascoltò, nel 1841 a Berlino, le lezioni di Schelling da cui fu dapprima colpito positivamente, per poi restarne deluso. Nello stesso anno pubblica “Sul concetto di ironia” (1841) mentre negli anni successivi continua la sua attività di intellettuale, con articoli divulgativi e saggi filosofici quali Aut-aut (1843), “Timore e tremore” (1843), Il concetto dell’angoscia (1844) La malattia mortale”. 

Questi ultimi anni, sempre poveri di eventi esteriori di rilievo, furono contrassegnati da un’aspra polemica sullo statuto della cristianità, intrattenuta con le gerarchie della chiesa luterana danese, e causarono alla personalità di Kierkegaard, estremamente sensibile, grandi sofferenze.


IL PENSIERO

Il pensiero soggettivo di Kierkegaard è il pensiero del concreto esistente, che nulla ha a che vedere con la ragione trascendentale kantiana o con la ragione astratta hegeliana; un pensiero che è infinitamente più interessato all’esistenza stessa, con i suoi fatti concreti e la sua drammaticità che neanche la Cristianità stabilita è in grado di cogliere.

Contro la dialettica hegeliana che è sintesi degli opposti e che impone all’esistenza universale e collettiva una cammino necessario, Kierkegaard  difende la possibilità di scelte libere tra alternative inconciliabili. 
È questo, in sintesi, il significato dell’espressione aut-aut, la scelta che deve essere continuamente affrontata da ogni individuo che, a fronte della sua libertà personale, non può delegarla o demandarla ad altri. Questa scelta personale diviene necessaria per affrontare gli stadi dell’esistenza e per passare, in modo libero e volontario, da uno all’altro di essi. 

Kierkegaard distingue:


  • Lo stadio estetico dove l’uomo vive sempre e solo nel momento, nella pura particolarità: è lo stadio della sensibilità e del rifiuto di tutto ciò che è impegnativo, ripetitivo, serio. La vita dell’esteta è contrassegnata dalla ricerca di sensazioni sempre nuove, dall’idolatria dell’instante e dal rifiuto di ogni legame stabile, sia affettivo che sociale. La figura che esemplica al meglio lo stadio estetico è quella di Don Giovanni, seduttore che passa da una donna all’altra senza mai legarsi e senza alcuna prospettiva.

  • Lo stadio etico è connotato da stabilità e ripetitività, come ben dimostra la figura simbolo del matrimonio: qui l’uomo si sottopone a una regola e a un impegno costante nel tempo, scegliendo l’universale. La verità di sé e della propria vita, la possibilità di guardarsi davvero come un io è ottenibile solo attraverso il pentimento, l’ultimo passaggio della vita etica, dove l’uomo si pone di fronte a un Dio personale rivelatosi in Cristo, incontro questo che gli consente di passare allo stadio successivo.

  • Lo stadio religioso trova la propria rappresentazione più pregnante nella figura di Abramo, disposto a sacrificare il figlio Isacco. In questo stadio l’uomo affronta il proprio io e gli aspetti di esso – l’angoscia e la disperazione – che finora non era stato in grado di capire e risolvere. L’uomo ha qui la possibilità di decidersi per il “salto della fede”, una scelta richiesta dal Dio della rivelazione cristiana e che è al di là della ragione, come ben dimostra il caso di Abramo.



In “Aut-aut” Kierkegaard considera l’angoscia come un sentimento strutturale in ogni essere umano dal momento che il suo modo di conoscere è essenzialmente sospeso nei confronti del futuro: mentre Dio del futuro sa tutto e gli animali nulla, l’uomo vive l’indeterminatezza del futuro, guarda al futuro in quanto indeterminato ed è qui che sorge l’angoscia, un sentimento che ha sempre un oggetto indeterminato, a differenza della paura. 

Ne “La malattia mortale” è invece la disperazione ad essere compiutamente tematizzata come incapacità dell’uomo di accettare sé stesso, come condizione in cui l’uomo dispera di sé stesso. Mentre la natura umana consta, nella sua complessità, di differenti fattori in constante dialettica, gli uomini sono preda della disperazione perché, incapaci di accettare tutti questi fattori, rinunciano ad essere completamente sé stessi, puntando sul solo fattore che riescono a controllare meglio.

Solo attraverso il Cristianesimo l’uomo riesce a guardare alla verità di sé stesso in tutta la sua complessità. Abbracciando il Cristianesimo l’uomo riesce a superare l’angoscia, dal momento che nessun evento contingente futuro, per quanto negativo, riuscirà a sottrarre all’uomo un bene eterno al quale è possibile accedere solo attraverso un atto di libera scelta, attraverso l’accettazione della libertà umana che nessun evento contingente futuro può mettere in discussione.  


FRIEDRICH NIETZSCHE



LA VITA

Friedrich Wilhelm Nietzsche nacque a Rocken, vicino Lipsia, nel 1844, figlio di un pastore protestante. A soli cinque anni perse il padre e visse, da allora, con la madre e la sorella senza riuscire mai a guadagnare un rapporto sereno con loro. 
A soli 24 anni divenne professore di lingua e letteratura greca presso l’Università svizzera di Basilea, ma la sua salute era cagionevole e, colpito da frequenti attacchi di emicrania e disturbi alla vista, abbandonò la cattedra per iniziare il suo pellegrinaggio per le città della Francia, della Svizzera e dell’Italia alla ricerca di una serenità che non riuscì mai a raggiungere. 
Pubblicò a sue spese i suoi ultimi lavori e si trasferì per un breve periodo a Torino, dove sopraggiunse un disagio psichico importante. Venne trascinato da un amico in una clinica per malattie nervose in Svizzera e trascorse gli ultimi anni della sua vita con la sorella, immerso nella completa follia. Morì a Weimar nel 1900, mentre la sua fama cominciò a crescere sempre più senza che lui potesse, però, rendersene conto.     


IL PENSIERO

Il pensiero di Friedrich Nietzsche è complesso e si può dividere in 4 fasi:

  1. La fase giovanile: dove domina l’interesse e l’ammirazione per il filosofo Schopenhauer e il musicista Wagner.
  2. La fase intermedia: dove avviene il ripudio dei precedenti ispiratori e prevale un approccio di tipo “scientifico” che comprende Umano, troppo umano (1878-1880) e La gaia scienza (1882).
  3. La fase di Zarathustra con l’opera Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno
  4. La fase finale, che comprende gli scritti degli ultimi anni tra cui Genealogia della morale (1887) ed Ecce homo (1888).


1) Nella sua prima fase, Friedrich Nietzsche vuole celebrare il trionfo della vita e la sua accettazione più totale e completa. Davanti alla crudeltà, alla sofferenza, all’incertezza dell’esistenza, Nietzsche decide di essere un discepolo di Dioniso, il dio dell’ebbrezza che incarna le passioni del mondo e che si contrappone ad Apollo, dio dell'ordine e della razionalità.

2) Nella seconda fase della sua filosofia, Nietzsche è mosso dal proposito di liberare la mente degli uomini da un “errore” fondamentale: la metafisica. La critica a quest’ultima disciplina filosofica si concretizza nella nota espressione della “morte di Dio”.

Secondo NietzscheDio è “la nostra più lunga menzogna”, è la personificazione di tutte le varie certezze morali, religiose attraverso cui l’umanità ha dato un senso rassicurante al caos della vita. È l’essenza di tutte le credenze create dall’uomo, dai tempi dei tempi, per far fronte alla paura dell’assenza di logicità e di qualcosa di benefico che guida la vita.

Con l’espressione "Dio è morto", Nietzsche intende la fine delle certezze che hanno guidato gli uomini per millenni. La morte di Dio non è un evento compiuto, bensì è in corso ed è annunciato dal cosiddetto “uomo folle” (il filosofo) mentre il resto dell’umanità non ne è ancora pienamente consapevole. 

3) La terza fase della filosofia di Friedrich Nietzsche si apre dunque con le alternative che si aprono con la morte di Dio: l’avvento dell’ “ultimo uomo” o del “superuomo”. 
Il superuomo è un concetto filosofico che si colloca nel futuro: corrisponde all’idea di un uomo nuovo, oltre e diverso da ciò che conosciamo.


l superuomo di Nietzsche incarna un modello in cui si condensano e trovano rappresentazione tutti i temi della sua filosofia. 

Le caratteristiche che possiede, infatti, sono: 

  • Accetta la dimensione dionisiaca dell'esistenza e rimane fedele “alla terra” e al corpo.
  • Si colloca nella prospettiva dell'eterno ritorno dell' uguale: vive la viva come se tutto dovesse ripetersi e non cerca il senso dell'esistenza in un “altro” mondo.
  • Si realizza come nuova fonte di valori e significati.
  • Si pone come “volontà di potenza”: vive la sua vita come un continuo oltre passare di se stesso e come libera attività creatrice.